Volume “Il riso”

PRESENTAZIONE DEL VOLUME “IL RISO”
di Ettore Cantù, Presidente

Per inserire nella “Collana di Agricultura” della Società Agraria di Lombardia ho tratto quest’anno dalla storica Biblioteca un volume di piccole dimensioni, ma piacevole nella forma e istruttivo nel contenuto, dedicato alla risicoltura del periodo appena successivo alla prima Guerra Mondiale. Il volume “Il Riso” edito a Torino nel 1925 da Paravia nella collana “Biblioteca Agricola” è opera di un tecnico agrario, il Dott. Riccardo Chiappelli, che mostra di conoscere a fondo una coltivazione che aveva raggiunto già all’inizio del XX secolo un buon livello tecnico colturale e le cui performances mercantili ne facevano un’attraente alternativa agli altri cereali e alla zootecnia.

Coltura relativamente giovane rispetto al grano, più esigente, ma più redditizia rispetto al mais, il riso era già entrato a pieno titolo nella rotazione agraria o in successione continua negli anni osservati dall’Autore. Non era una coltura nuova, ma neppure troppo antica se solo dagli inizi del XVI secolo si ha notizia della sua diffusione come cultura agraria, dopo che il riso era stato considerato una rarità e una spezie.

E’ interessante conoscere le vicende dell’introduzione del riso nella pianura padana perché sfiora la testimonianza di grandi personaggi che fecero la nostra storia. Infatti, il riso, conosciuto in Italia dall’ epoca greco-romana, si diffuse come importante coltura agraria solo nel XVI secolo quando gli Sforza nel Milanese e nel Pavese fecero in modo che si potesse affermare anche in quelle aree paludose dove le popolazioni rurali trovavano maggiori difficoltà di insediamento. Da documenti la prima risaia “moderna” nella pianura padana è del  1468. Nel 1475 il duca Gian Galeazzo Sforza dona al duca di Ferrara un sacco di riso che viene da lui definito in una lettera “alimento estremamente interessante e meritevole di essere coltivato”.

Dal XVI secolo con l’avvio della coltivazione in Lombardia il riso, da prodotto di uso esclusivo degli speziali, divenne un elemento dell’alimentazione dei Lombardi. Nei primi due secoli di risicoltura italiana viene quindi utilizzata una miscela di varietà con il nome di Nostrale. Varietà di taglia di 120 cm, poco resistente al brusone, aveva molti limiti e la coltivazione rimase soggetta all’alternanza di riduzioni ed espansioni finchè dalla Lombardia la coltivazione si estese con rapidità a tutte le zone paludose della Pianura Padana. A tale diffusione seguì però un aumento dei casi di malaria e furono molti i provvedimenti che cercarono di limitarne la coltivazione in prossimità degli abitati.

Nonostante i divieti, la coltivazione del riso continuò ad espandersi perchè la sua resa e il conseguente reddito, rispetto ai cereali tradizionali, erano così alti da far prevalere il fattore economico sul rischio di malattie. Il riso ebbe dunque una immediata diffusione, malgrado i rischi, i dazi e i divieti e, probabilmente, il suo successo si deve anche alla crisi alimentare che si registrò in tutto il Mediterraneo occidentale nei XVI e XVII secolo.

Le carestie si alternavano alla peste, i raccolti scarseggiavano e non era facile approvvigionarsi all’estero. In queste condizioni il riso fu visto come il cereale che poteva in qualche modo far fronte alle richieste di una popolazione sull’orlo della fame.

Nella storia della risicoltura italiana il XIX secolo è ricordato per l’opera di costruzione della più importante rete irrigua (Canale Cavour) a vantaggio della coltivazione del riso; di contro erano sorti due problemi: la malaria e il brusone. Ai quei tempi la diffusione della malaria viene associata direttamente alla presenza della risaia sommersa, così che si resero necessarie nuove forme di risicoltura senza sommersione e nuovi materiali genetici: gli agricoltori crearono nuove varietà con la selezione in campo con alterne fortune. Con l’introduzione di razze esotiche ne arrivarono in Italia alcune veramente interessanti tra le quali una, nel 1904, chiamata “Chinese Originario” molto produttiva, coltivata in sommersione, e resistente al brusone.

Nel primo dopoguerra alcuni produttori selezionarono nuove varietà come il Maratelli fra i risi semifini, il precoce Giallo Ardizzone, il Precoce Vittoria. Il più importante risultato è stata la varietà “Vialone Nano” prodotta dalla Stazione di Risicoltura di Vercelli e non ancora rilasciata quando l’Autore scrive questa monografia, ma tuttora coltivata e molto apprezzata dagli estimatori dei classici piatti di risotto. Un altro riso d’eccellenza ottenuto in quei decenni dall’incrocio “Vialone” x “Lencino” è il “Carnaroli” (1945).

Questa breve storia della risicoltura è la premessa per apprezzare e godere la prosa elegante e piana del testo di questa edizione riprodotta in anastatica del volume “Il Riso”. Il dr. Riccardo Chiappelli presenta uno spaccato della coltivazione del riso nella Lombardia e nel Piemonte, regioni dove è più intensa, riferito all’anno 1924, nel quale la produzione fu di quintali 5.900.000 sopra una superficie di circa 146.000 ettari, con una media unitaria di 41 quintali per ettaro.

Le notizie sulla coltivazione, la descrizione delle varietà, l’analisi delle malattie del riso riportate dall’Autore costituiscono una trattato sintetico, ma di agevole lettura per la conoscenza di una coltura soggetta più di altre a un complesso di condizionamenti: clima, disponibilità di acqua e irrigazione, tecniche colturali per la semina, il trapianto, il diserbo e la raccolta, avversità atmosferiche ed erbe infestanti, presenza del “crodo”, grande necessità di mano d’opera femminile.

I connessi problemi igienici, sociali ed ambientali imprimevano allora come oggi una fisionomia caratteristica alla zona irrigua di produzione delle province di Pavia e Milano in Lombardia e Vercelli e Novara in Piemonte o Ferrara in Emilia.

Infatti, le condizioni di quel periodo della risicoltura erano il risultato di una lunga serie di vicende in parte avverse e in parte favorevoli. Dopo un periodo di fortunato incremento da 1860 al 1875 sorsero gravi difficoltà causate dal sorgere di malattie quali il brusone, dalla concorrenza dei risi indiani e giapponesi favoriti dall’apertura del canale di Suez e dalla questione delle condizioni igieniche dei lavoratori e dei centri urbani nelle zone risicole, che minacciarono seriamente la risicoltura. Alle malattie si rimediò con varietà più resistenti e di maggiore produttività e con il progressivo perfezionamento delle tecniche colturali; la concorrenza si stemperò in un graduale allineamento dei mercati e quando le difficoltà derivanti dalla guerra e dalle agitazioni agrarie del periodo postbellico furono superate la produzione aumentò sensibilmente seguendo l’andamento dei prezzi del mercato del risone.

Il quadro descritto dallo Chiappelli nel volume ci riporta a circa novant’anni fa e se volessimo riferirci alla provincia di Pavia, di cui abbiamo dati più certi per gli anni dal 1910 al 1928, potremmo constatare come la coltivazione del risone abbia seguito vaste oscillazioni nella superficie, nelle produzioni e nel prezzo determinate in gran parte dalle variazioni del mercato. Uniche eccezioni: il periodo bellico, nel quale i prezzi erano imposti, e quello delle agitazioni agrarie, per le difficoltà legate alla mano d’opera (nella Provincia nel 1928 furono occupate complessivamente 41.454 mondine delle quali 16.064 provenienti da altre province).

Negli anni osservati la superficie subì una leggera variazioni in aumento, la resa media passò da 35 a 45 ql/ha e la produzione raggiunse quasi il doppio per il concomitante aumento della superficie coltivata. Nel dopoguerra, con il ritorno alla libera contrattazione, il prezzo del risone aumentò sensibilmente passando dalle 80 lire per quintale fino a raggiungere il massimo di 150 lire nel 1925. Con la rivalutazione della lira il prezzo subì un vero tracollo, determinando una nuova crisi risicola dall’autunno 1927 con prezzi scesi fino a 70 lire al quintale. L’altalena dei valori continuò con un transitorio rialzo nel 1928 a 125 lire per scendere di nuovo e stabilizzarsi sulle 90/100 lire al quintale.

Il trattato dello Chiappelli procede poi alla descrizione delle varietà, delle pratiche colturali, della concimazione, delle lavorazioni del terreno, del governo dell’acqua, del trapianto al quale attribuisce grande rilievo, della vegetazione infestante la risaia ed infine della raccolta per concludere con una serie di 28 tavole con preziose fotografie. Proprio tale conclusione offre una finestra sul futuro con l’affermazione che la coltivazione del riso in Italia si intensifica ogni anno ed esso ha un’importanza particolare per l’ottima qualità che si ottiene e rende i risi italiani i più pregiati e ricercati all’estero.

La Società Agraria di Lombardia invita a leggere questo testo sul riso, leggero, ma essenziale, piano e suggestivo, una rivisitazione per i risicoltori d’oggi e una chicca per gli studiosi della risicoltura e ringrazia per la sostanziale collaborazione il Servizio Vendita Risone-Consorzio tra Risicoltori di Mortara.