Biologico

IL BUSINNES DEL BIOLOGICO
di Ettore Cantù *

Continua la crescita al consumo degli alimenti biologici. I consumatori italiani hanno fiducia nel bio: alcuni ne acquistano ogni settimana e sono il 5 %, altri una volta al mese, altri ancora almeno una volta ogni tre mesi. Il Presidente dell’Assobio, nel presentare questi dati suggerisce le motivazioni della scelta. Alcuni consumatori, pochi, fanno la loro scelta in funzione della tutela dell’ambiente o per motivi legati alle intolleranze o alle allergie alimentari, ma i più scelgono il bio in quanto cercano la sicurezza alimentare, disposti a spendere il 30 o il 50% in più del prezzo del cibo convenzionale, che spesso offre stesse buone caratteristiche sanitarie e nutrizionali.

E’ una scelta ragionata o segue una moda? Dipende dalla suggestione del vocabolo bio che induce a pensare a un alimento prodotto dalla sola natura, vagamente intesa come dispensatrice di sanità e di bontà, mai ingannevole e propensa ad avvelenare gli esseri umani?

Tuttavia nel mondo degli esperti sul bio si intensificano e si esprimono molti dubbi. C’è chi si dice convinto che i prodotti chimici consentiti dal protocollo dell’agricoltura biologica siano troppi e le dosi usate senza controllo nelle coltivazioni siano alla fine nocive per il prodotto e per l’ambiente. Dubbi anche sull’opportunità di consentire le coltivazioni biologiche solo in una parte e non sul totale della superficie aziendale. Forse il nuovo Regolamento della Commissione UE metterà fine a questa compromissione che riduce la garanzia al consumatore del rispetto del protocollo bio nelle coltivazioni.

C’è il sospetto che i prodotti ottenuti con il regolamento del biologico siano meno sani di quelli tradizionali perché solo i prodotti agrochimici consentono il controllo totale degli elementi nocivi alla salute umana.

C’è chi si interroga sul fattore economico chiedendosi se sia lecito, etico od opportuno che il maggior costo del bio prodotto senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, non giustificato da maggiori garanzie in fatto di sanità e serbevolezza, sia sopportato, benché volontariamente, dal consumatore pure in una situazione economica di pesante recessione e di crisi dei consumi per le tante famiglie in situazione di povertà crescente. C’è poi chi si chiede come mai il Regolamento Comunitario sull’agricoltura biologica pensato in origine con lo scopo di rispettare l’ambiente, vietandovi la diffusione di sostanze chimiche, sia diventato nella psicologia del consumatore una garanzia di sicurezza alimentare, frutto della pubblicità mediatica e quindi diventato moda da seguire.

C’è anche chi, scienziato esperto, assicura che la pianta non può distinguere se l’azoto o il fosforo che le sue radici assorbono dal terreno provengano dal letame bovino o equino, come vorrebbe il bio o da un concime di sintesi come nell’agricoltura tradizionale. In altre parole si pone il problema se valutare un alimento in funzione del processo di produzione o piuttosto sul prodotto finito, controllato a norma di legge, come avviene in altri Continenti, Europa esclusa.

Conseguenza. Quando i vari dubbi potranno essere sciolti sapremo se l’agricoltura biologica è solo un grande business o se contiene la verità e la offre confezionata sana e cara al consumatore sprovveduto. Intanto registriamo il parere di alcuni agricoltori che, a differenza dei tanti che esaltano acriticamente i loro prodotti bio, esprimono apertamente il loro parere. Nel caso del vino biologico, uno dei massimi vitivinicoltori bresciani afferma: “Solo il 10% dell’uva della mia azienda rispetta totalmente il protocollo bio. Abbiamo studiato la qualità delle uve delle ultime 10 stagioni sfido chiunque a dire che la media dell’uva bio sarebbe stata uguale o superiore a quella coltivata con i trattamenti . Quest’anno sarebbe stato un disastro. Se il vino naturale bio, uno su dieci, è fantastico per sei mesi e in seguito imbevibile, gli altri non sono bevibili in partenza.”

Aggiunge un allevatore di suini mantovano: “Sul fronte economico i costi sono sicuramente più elevati rispetto all’allevamento convenzionale, ma il fatto che gioca a nostro favore è la richiesta di suinetti dall’Austria e dalla Germania. Questa è la condizione per continuare l’allevamento”. Si può estendere il caso alla generalità degli allevamenti?.

Eppure “Il biologico è la punta di diamante di una nuova agricoltura” afferma il vice ministro dell’agricoltura Andrea Olivero, ma molti tecnici di provata esperienza e di mentalità aperta pensano che il futuro dell’agricoltura sarà condizionato non tanto dal ritorno alla zappa e ai trattamenti a base di rame, ma dalle innovazioni. Saranno queste, sempre in grado di rispettare l’ambiente, ma capaci utilizzare le biotecnologie di seconda generazione derivate dallo studio del genoma (sono già sequenziati quelli dei cereali, della vite, del melo, del pero e del pomodoro) per creare un modello di agricoltura, come sostiene il prof. Salamini, nel quale si coltivano piante adattate all’ambiente naturale, invece di modificare l’ambiente nel quale coltivare le vecchie piante tradizionali. Dal passato al futuro, pensando agli 800 milioni di persone sottonutrite del pianeta.

* Presidente “Società Agraria di Lombardia”